Dal 9 maggio al 29 luglio la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta la prima mostra personale in un museo italiano dell’artista americano Jordan Wolfson. La mostra, a cura di Alessandro Rabottini, è parte della programmazione diEldorado, la project room della GAMeC dedicata ai più interessanti artisti emergenti della scena internazionale. Per l’occasione l’artista ha concepito un percorso composto da opere recenti, culminante con la presentazione in anteprima di Landscape for Fire, un nuovo lavoro video commissionato e prodotto dalla GAMeC.

Il lavoro di Jordan Wolfson – già noto al pubblico internazionale per la sua partecipazione alle Biennali del Whitney Museum di New York nel 2006 e di Mosca nel 2007 – spazia dal video alla fotografia all’installazione ambientale e sonora. La libertà con cui l’artista utilizza gli strumenti e i mezzi più diversi si accompagna alla molteplicità dei temi e delle atmosfere che il suo lavoro evoca e dove convivono miti della cultura pop, memorie di arte concettuale e poesia del quotidiano. Molte delle sue opere rappresentano il nuovo rapporto che le più recenti generazioni intrattengono con la tecnologia e i media, all’insegna di un’inedita intimità con le icone del mondo dei consumi e di una sempre maggiore confluenza tra la dimensione individuale e il flusso globale dell’informazione. In questo senso, quella di Wolfson è una riflessione a più livelli sull’intreccio costante tra narrazione e tempo interiore, consumo e flusso esistenziale, linguaggio, arte e trasgressioni individuali.

Le opere presenti in mostra, Forest from Above in Reverse (2007) e Landscape for Fire (2007), sono i capitoli di una narrazione fatta di pause ed enigmi, all’interno della quale trovano spazio temi cari all’artista come la riflessione sul tempo, l’attenzione al linguaggio, le dimensioni della memoria e dell’assenza.
Forest from Above in Reverse è un film in 16 mm senza sonoro. Esso mostra l’immagine familiare eppure straniante di una foresta da un punto di ripresa elevato, nell’atto di retrocedere lentamente. L’opera si basa su un vocabolario formale minimalista e non intende avere alcun significato al di là della sua immagine archetipa. Come altri lavori in mostra, questo film fa appello alla sensibilità dello spettatore in quanto consumatore di intrattenimento e, attraverso l’isolamento di elementi tipici della narrazione cinematografica – il suono e il movimento della macchina da presa –, danno vita a una lieve coreografia di suspance, ironia e immaginazione. Qui la natura è lo scenario desolato di un’evidente messa in scena, che chiama sempre in questione l’arte, la suggestione e la costruzione delle immagini come artificio, convenzione e gioco linguistico.

La complessità del rapporto personale che l’artista intrattiene con la storia dell’arte recente è al centro di Landscape for Fire, l’opera inedita realizzata e presentata in esclusiva per la GAMeC. L’opera consiste in un video che nasce come rifacimento di Landscape for Fire, film realizzato nel 1972 dall’artista inglese Anthony McCall, suo primo tentativo di integrare performance, installazione, immagine in movimento e scultura. A distanza di più di 30 anni Wolfson realizza una “cover” – come lui stesso la definisce, usando un termine preso in prestito dalla musica rock e pop – la riedizione dell’opera di McCall, proprio come se si trattasse di una canzone reinterpretata da un gruppo che, così facendo, rende omaggio agli autori del pezzo originale. Attraverso un uso estremo della citazione e dell’appropriazione, Wolfson realizza un’opera in cui le dimensioni della nostalgia e del passato si intrecciano con la riflessione sulla natura della creazione artistica, sui valori dell’invenzione e dell’originalità e sullo scambio reciproco tra presente, futuro e rappresentazione della storia. L’artista rimette in scena un’opera del passato come fosse un rituale, la cui ripetizione chiama in causa l’alone quasi mistico che circonda molte delle testimonianze visive dell’arte agli inizi degli anni ’70, sul crinale tra Arte Concettuale, Land Art e performance. La natura complessa di questo tributo elusivo e carico di mistero, che non si esaurisce nella memoria, è chiarita dalle parole dello stesso Jordan Wolfson che, a proposito di questo lavoro dice: “Il rituale reinventa il lavoro. Spero che qualcun altro voglia in futuro rifare la mia versione dell’originale, così l’opera potrà continuare a essere inventata”.