Dal 30 maggio al 27 luglio 2008 la GAMeC di Bergamo ospita Inter pares dell’artista belga Kris Martin, a cura di Alessandro Rabottini, e parte della programmazione di Eldorado, la project room della GAMeC dedicata ai più interessanti artisti emergenti della scena internazionale.

La mostra è la prima di una serie di venti Eldorado in onore di Arturo Toffetti, imprenditore e appassionato d’arte che ha vissuto a Bergamo. Grazie alla volontà della moglie non solo si è resa possibile la realizzazione dei progetti, ma al termine di ciascuno di essi una delle opere esposte entrerà a far parte della Collezione Permanente del museo che, dal 2000 ad oggi, si è arricchita di oltre trecento opere.

Dopo la sua partecipazione alla Biennale di Berlino del 2006 e la sua recente mostra personale al PS1 di New York del 2007, Kris Martin (Kortrijk, 1972; vive e lavora a Ghent, Belgio) ha attirato su di sé l’attenzione internazionale grazie alla singolarità della sua arte che mescola poesia, rigore concettuale e memorie filosofiche e letterarie.

Il suo lavoro riflette i quesiti esistenziali che ciascun essere umano nutre nel corso della propria esistenza e si serve di frequenti riferimenti alla religione, all’arte e alla letteratura per esprimere la costante meraviglia, la malinconia e l’aspirazione alla conoscenza che caratterizzano il nostro rapporto sia con la vita che con la morte. La varietà dei mezzi che costituiscono la sua pratica artistica – dalla scultura all’installazione, fino all’uso del sonoro, del testo e della fotografia – danno origine a opere che, se da un lato possiedono l’aura dell’oggetto magico, dall’altra tradiscono un sentimento di disillusa ironia verso la finitudine dell’esistenza umana. Nel lavoro di Kris Martin lo stupore commosso e il senso del sacro, infatti, si accompagnano sempre al sorriso malinconico dello scettico. Questa complessa stratificazione di sentimenti segna una profonda continuità con la tradizione visiva, filosofica e culturale belga alla quale Martin appartiene: tutte le sue opere, infatti, metabolizzano il misticismo della pittura di Jan van Eyck, la quotidianità straniante di René Magritte, l’ironia colta di Marcel Broodthaers e la teatralità esistenziale di Jan Fabre.

I tre ambienti che costituiscono la mostra concepita appositamente per la GAMeC di Bergamo sono altrettante tappe di un viaggio interiore che tocca il bisogno umano di conoscenza e il senso di frustrazione che ad esso si accompagna, la speranza e il mistero, la compassione e la percezione di un destino comune.
Nella prima sala troviamo due sculture della serie Idiot: Idiot III del 2006 e Idiot V 2007. In entrambi i casi simboli e icone della religiosità sono colti nell’atto di chiudersi in se stessi, in un momento di afasia e di sospensione, come se la propria aura fosse soffusa di perplessità. Nel lavoro di Kris Martin è frequente il ricorso alla figura dostojevskiana dell’idiota come metafora di una condizione esistenziale estrema, cioè quella dell’artista e, più in generale, di una condizione della conoscenza che riguarda tutta l’umanità, colta in un’eterna contraddizione tra illuminazione e fallimento. Di qui il titolo della mostra, quell’Inter pares (“tra i pari” in latino) che richiama l’espressione “Primus inter pares”, a segnalare una condizione di eccezionalità cui, nonostante tutto, non corrisponde un accresciuto potere. In questo senso tra divinità, artista, creazione letteraria e genere umano si crea una forma di solidarietà basata su una forma paradossale di unicità che, se da una parte annuncia la salvezza, dall’altra non è in grado di realizzarla.
Nel secondo ambiente lo spettatore è completamente immerso in una sorta di ritratto collettivo del genere umano. Decine e decine di disegni all’apparenza identici ma in realtà tutti diversi richiamano la generica fisionomia di un volto umano, attraverso l’utilizzo del linguaggio scritto nel suo valore di immagine e di tautologia. Anche in questo caso la riflessione sull’esistenza come destino collettivo prende le sembianze di un gioco formale sospeso tra stupore e ironia. L’ultima sala vede invece protagonista un’installazione sonora in cui una voce femminile sussurra una domanda banale eppure vitale nella sua quotidianità, una domanda che tutti facciamo per poterci orientare nello spazio e nel tempo e alla quale una voce maschile risponde con un invito al silenzio.

La mostra di Kris Martin è completata da una pubblicazione d’artista ideata e disegnata da lui stesso e realizzata in collaborazione con la rivista Mousse, e che contiene un testo del critico inglese Martin Herbert (i cui scritti compaiono regolarmente su riviste internazionali come Artforum, Frieze, Modern Painter, Tate etc.) e una conversazione tra l’artista e Alessandro Rabottini, curatore della mostra.