Dal 17 novembre 2011, fino al prossimo 8 gennaio 2012, la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ospita la mostraTutto il vento che c’è dell’artista Alessandro Piangiamore, nell’ambito del progetto Global Art Programme, Waiting for Expo 2015promosso da Artegiovane Milano.

Attivo dal 2010, Global Art Programme intende tracciare, in occasione di Milano Expo 2015, una panoramica dei giovani talenti attivi in ambito nazionale e internazionale nel campo delle arti visive. Tra febbraio 2010 e dicembre 2014, 15 artisti italiani e 15 artisti stranieri provenienti da India, Cina, Sud Africa, Turchia, Israele, Palestina, Qatar, Marocco, Inghilterra, Germania, Svizzera, Camerun, Francia, Senegal, Spagna, Corea, Stati Uniti, Canada, Giappone e Brasile sono stati e saranno selezionati per partecipare a un programma internazionale di scambi di residenze.
Ciascun partecipante visiterà un Paese e sarà ospitato da un partner istituzionale locale che fornirà il supporto necessario alla realizzazione di un’opera sui temi di salute e nutrizione adeguata, ambiente ed energia pulita o geo-architettura. I lavori realizzati saranno esposti singolarmente al termine di ogni residenza e collettivamente alla conclusione del progetto, in occasione di Milano Expo 2015.

Il programma è stato avviato nel 2010 con lo scambio Italia/India.
Gli artisti selezionati sono stati Asim Waqif e Alessandro Piangiamore, che hanno presentato rispettivamente una performance/video e un’istallazione scultorea.

Tutto il vento che c’è di Alessandro Piangiamore, ospitato alla GAMeC di Bergamo è la prima formalizzazione di un ampio progetto attraverso il quale l’artista porta avanti una ricerca sul vento in quanto elemento non rappresentabile.

Le opere esposte in questa occasione, che comprendono 5 sculture in bronzo e un work in progress composto da 28 incisioni, sono state realizzate a partire dalla residenza in India nel 2010 presso Khoj Studio, durante la quale Piangiamore, dopo aver realizzato dei monoliti in argilla, li ha collocati in cinque punti del subcontinente indiano sottoposti all’azione di venti locali.

L’utilizzo di una forma e una materia così malleabili ha innescato un processo il cui risultato è rimasto imprevedibile fino alla fine del periodo di esposizione. Ciò che è rimasto di ciascun monolite è stato poi riprodotto in una fusione in bronzo, ottenendo una sorta di ritratto arbitrario, realizzato per sottrazione. All’immaterialità visibile del vento corrisponde la forma esatta ed eterna, per sé monumentale, della fusione in bronzo.

Le sculture sono accompagnate da una serie di incisioni, mezzo che Piangiamore ha già sperimentato nei suoi recenti progetti espositivi, una catalogazione (se vogliamo, anche questa arbitraria ed impossibile) dei venti del pianeta realizzata attraverso immagini in cui le forme aeree del vento e quelle solide della natura sono rappresentate sullo stesso piano, in un’unica concorrenza di segni.

Un’operazione poetica e di grande complessità concettuale che, come afferma Maria Perosino – autrice di uno dei testi in catalogo – riesce ‘a portare il vento dentro a un museo, certificandolo artista’.