Dal 15 maggio al 3 luglio 2005 la GAMeC di Bergamo ospita la mostra collettiva No Manifesto a cura di Andrea Viliani, vincitore della seconda edizione del Premio Lorenzo Bonaldi per L’Arte – EnterPrize.

Il premio, unico nel suo genere, è nato dalla volontà di ricordare la passione per l’arte e per il collezionismo di Lorenzo Bonaldi ed è volto a sostenere la ricerca di un giovane curatore under 30 e il suo progetto di mostra inedita. Con questo riconoscimento si vuole sottolineare la centralità e il significato che la figura del curatore ha assunto nel panorama artistico internazionale, oltre a incoraggiare e sostenere il talento di un giovane curatore in un momento estremamente vitale all’interno del suo percorso professionale.

All’interno della pratica artistica attuale, posta tra un nuovo impulso modernista e il persistere di una ‘condizione’ postmoderna, No Manifesto esplora il ruolo primario che assumono i ‘gesti’ più semplici dell’artista al lavoro: dal suo prendere coscienza dello spazio/tempo specifici in cui agisce al dispiegarsi del suo sguardo, dall’atto della parola e dell’ascolto fino alla sospensione del giudizio, e della parola stessa, per aprirsi all’esperienza dell’immaginario. Definiti dal filosofo Giorgio Agamben quali mezzi senza fine, questi strumenti, quando non usati in vista di un fine a loro esterno, permettono di rilevare potenzialità e limiti del proprio linguaggio nell’atto del suo farsi e, in ultima analisi, di intendere la pratica artistica quale processo intimamente e necessariamente contraddittorio e mobile.

La mostra – che comprende una selezione di opere di Stefano Arienti, Massimo Grimaldi, Mike Nelson, Florian Pumhösl, Anri Sala e Richard Wright presentate per la prima volta in Italia o realizzate appositamente per No Manifesto – si presenta come un momento di confronto fra l’attività degli artisti e quella curatoriale, entrambe interpretate come “potenzialità” in atto e non come atti in sé conclusi. Il visitatore è sollecitato a divenire consapevole dello spazio e del tempo specifici della mostra e di come essi riflettano il nostro modo di fare e documentare le nostre decisioni ed esperienze, in un processo continuo di riflessione e trasformazione. La decisione di Richard Wright di smettere di dipingere sulla tela all’interno del suo studio per dipingere direttamente sulla superficie degli spazi espositivi (“ma non feci un manifesto. Un giorno, semplicemente, ho smesso di dipingere”) agisce in questo senso, fin dal titolo scelto per la mostra, da indicazione esemplare dell’esperienza che essa intende fornire.

Nell’alternare e fondere tra loro la dimensione ‘artificiale’ della mostra e le molteplici realtà che in essa possono essere evocate, le installazioni ambientali di Mike Nelson e le videoinstallazioni di Anri Sala ricreano, ad esempio, gli scenari del mondo esterno invitandoci a riflettere sul ruolo che vi esercita lo sguardo e sulla sottile distinzione fra realtà possibile e immaginario, mentre lavori come quelli di Florian Pumhösl e Massimo Grimaldi proiettano nella dimensione sociale dell’arte e nell’analisi delle dinamiche storiche e culturali la consapevolezza dell’impossibilità di una definizione univoca per ogni creazione umana. Anche nelle opere di Stefano Arienti i meccanismi indotti dalla società dei consumi divengono metafora di un processo intimo di ricreazione.

Gli artisti in mostra elaborano un’esperienza artistica moderna, nel senso che della modernità sembra riacquisire lo spirito “potenziale”, con una coscienza tuttavia frammentaria, temporanea, dubitativa, ma anche affabulatoria nell’organizzare con lucidità passioni, pensieri, dettagli o emozioni in possibili racconti. La mostra è un’esperienza rigorosa, impegnata nel confronto con la realtà oggettiva e possibile rivelata dai gesti più comuni. No Manifesto è il tentativo di esaltare l’umanità che sembra connaturata a questa esperienza.

La mostra è realizzata con il sostegno del Forum Austriaco di Cultura a Milano.