La prima mostra personale in un’istituzione italiana dell’artista croata presenta una riflessione sulla natura originaria del quattrocentesco Monastero delle Dimesse e delle Servite che oggi ospita il museo

Per la sua prima mostra personale in un’istituzione italiana, l’artista di origine croata Dora Budor (Zagabria, 1984) presenta un progetto inserito nello Spazio Zero della GAMeC. Concepita in relazione alla mostra “Continent” presso la Kunsthaus Bregenz (2022), la personale considera le specificità del contesto di molteplici istituzioni come strutture ricorsive, sottolineando come le variazioni di sede in sede influenzino la percezione dell’opera. Nel contesto della GAMeC, gli interventi dell’artista esaminano le prerogative costruttive e architettoniche dei caratteristici spazi museali, frutto del restauro del monastero quattrocentesco delle Dimesse e delle Servite, a opera di Vittorio Gregotti.

A Bregenz, Budor ha prodotto alcuni calchi delle sezioni del tunnel a diaframma che circonda le fondamenta sotterranee del museo austriaco, la cui funzione è impedire il collasso degli edifici adiacenti ed espellere le infiltrazioni di acqua e fango provenienti dal suolo alluvionale su cui poggia lo stabile. Le opere, intitolate Kollektorgang (I-XIV), Kollektorgang (XV-XXIV), e Kollektorgang (XXV-XXIX) (tutte risalenti al 2021), includono rimanenze della produzione manutentiva e amministrativa come materiale di partenza. Nel contesto dell’ermetico Spazio Zero della GAMeC, la disposizione di Kollektorgang ostruisce le entrate e crea un corridoio che circonda la stanza. Sin dal principio, la pratica monastica ha visto i corridoi come strumenti per accelerare il ritmo con cui venivano recapitati i messaggi, promuovendo questo spazio di circolazione come strumento di velocità. Attraverso le successive relazioni con i flussi della modernità, la rivoluzione corridoriale del diciannovesimo secolo ne ha in seguito ampliato gli usi, comprendendo, tra questi, la sanificazione, la sorveglianza, e l’istituzionalizzazione, incanalando e definendo così le persone attraverso i suoi regimi spaziali.

Jean Des Esseintes, personaggio immaginario creato da Joris-Karl Huysmans nel suo romanzo “Controcorrente”, riflette: “Costruiamo muri per bloccare il mondo esterno, eppure appendiamo dipinti di paesaggi quali sostituti preferiti”. Lo storico dell’architettura Robin Evans cita questa stessa storia per spiegare come strutture simili siano adatte al ritiro, come i monasteri, oppure a racchiudere ed escludere comportamenti che potremmo percepire come pericolosi, come le prigioni.[1] Di conseguenza, alcuni monasteri sono stati opportunamente convertiti in prigioni e altri in musei. Un’illusoria sensazione di immunità e impenetrabile separazione tra il Sé e l’istituzione si crea come risultato di questo processo; quando, invece, ciò che sembra essere esterno scivola continuamente verso l’interno, come nel caso del linguaggio, della digestione e dell’infrastruttura.

Termites (2022), composta da sex-toys telecomandati posti all’interno di un dotto di ventilazione che eroga un flusso d’aria fresca, produce un riverbero continuo. I produttori del piacere industrializzato compromettono l’integrità dello spazio espositivo, comunicando un senso di disfunzionalità infrastrutturale con la loro stimolazione al puro godimento contro la finalità riproduttiva.

Appesa nella stanza adiacente, di fronte alla serie di finestre protette da sbarre metalliche, si trova una sequenza di frottages tratti dalla serie Love Streams (2022). In queste opere, gli antidepressivi sono usati come sostanza marcante nello sfregamento sui muri e sui pavimenti dello studio temporaneo dell’artista a Berlino. Essi postulano la competizione per il raggiungimento del piacere e del benessere, indotta dal capitalismo, come generatrice di forme, tracciando una linea sottile tra l’usare e l’essere usati dagli effetti che costituiscono la nostra realtà contemporanea.

Testo di Morin Sinclaire


[1] Evans, Robin; “The Rights of Retreat and the Rites of Exclusion: Notes Towards the Definition of Wall”, Architectural Design, vol. 41, no.6 (Giugno 1971)