La GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta GRID RIPPER, a cura di Alessandro Rabottini, la prima mostra personale che un museo europeo dedica a Sterling Ruby.

La moltitudine dei mezzi e delle tecniche che Sterling Ruby utilizza nel suo lavoro – spaziando dalla scultura al collage, dall’installazione alla pittura, dalla ceramica al video e alla stampa – si accompagna a un universo altrettanto denso di temi e di riferimenti sia interni che esterni alla storia dell’arte, come il conflitto tra le pulsioni individuali e i meccanismi di controllo sociale, la funzione coercitiva dello spazio architettonico, l’arte come dominio dell’irrazionalità, la sfera dei comportamenti disfunzionali, il Minimalismo e l’Art Brut, il graffitismo, la violenza urbana, il desiderio e il piacere.
GRID RIPPER fa parte di una trilogia di mostre che affronta il tema dell’astrazione in rapporto con la percezione corporea e con la dimensione metafisica dell’esistenza. A completare la trilogia saranno la mostra ZEN RIPPER – seconda mostra personale dell’artista alla Galleria Emi Fontana di Milano dal 19 settembre 2008 – e la mostra SPECTRUM RIPPER, alla Galleria Monika Sprüth Philomene Magers di Londra dal 9 ottobre.
Al centro di ciascuna mostra ci sono i concetti di Geometria, Meditazione e Colore posti in relazione con le idee di potere, disubbidienza, perfezione estetica ed eternità.
Il titolo della mostra alla GAMeC è emblematico di un aspetto fondamentale dell’arte di Sterling Ruby, ovvero quello della frizione tra forme geometriche e razionali e impeto espressivo e performativo. In questo senso le sculture e i dipinti presenti in mostra – all’interno di un progetto inedito e site specific appositamente ideato dall’artista per lo Spazio Zero della GAMeC – sembrano nascere da una sorta di atto vandalico, allo stesso tempo distruttivo e generante.
La principale sala espositiva è dominata da due imponenti strutture fatte di solidi di formica sovrapposti: a metà strada tra l’architettura e la scultura, occupano lo spazio come fossero totem minacciosi dall’oscura funzione, costruzioni dalla natura ambigua, di cui è difficile comprendere se siano nate per difendere o per imprigionare, o se siano il teatro abbandonato di una violenza senza scopo. Il loro aspetto geometrico e quasi brutale di rovine domestiche è spezzato dall’uso marcato e gestuale della vernice spray, in un richiamo frequente da parte di Ruby al graffitismo come tentativo estremo di testimoniare la propria esistenza nell’orizzonte anonimo e alienato della vita nelle metropoli moderne.
La vernice spray è anche il mezzo con cui l’artista realizza i quadri in mostra, campiture astratte di colore in cui il gesto dello scrivere sui muri il proprio pseudonimo – un gesto spesso usato dalle bande urbane per marchiare un territorio e rivendicarne la proprietà – viene trasformato e recuperato all’interno di una lunga tradizione di pittura astratta e gestuale, che spazia dall’Espressionismo Astratto all’Arte Informale, fino a chiamare in causa la funzione terapeutica dell’arte, l’Outsider Art e la dimensione meditativa dell’arte astratta.
In questi dipinti – come in tutta la sua arte, d’altra parte – Ruby sembra appropriarsi di gesti all’apparenza privi di una grammatica estetica e formale e voler articolare, all’interno di un vocabolario estremamente consapevole della storia dell’arte del secondo dopoguerra, le voci e le dimensioni dell’esistenza umana più nascoste e refrattarie alla comunicazione.
Quella di Ruby è un’arte che coniuga la memoria del passato con l’attenzione per i fenomeni urbani e popolari contemporanei. È un’arte dell’espressione e dell’accumulo, della sovrapproduzione di informazioni e del delirio dei sensi, della nevrosi e della paranoia, e in cui il gigantismo delle forme e il loro proliferare appare come una manifestazione corrotta del desiderio, del consumo, dell’ansia e della necessità di controllo che caratterizza la cultura occidentale contemporanea.